Il dramma di Forte Verena nel giugno del 1915

Verena1Storia. 90 anni fa il fiore all’occhiello delle fortificazioni italiane veniva colpito IL FORTE VERENA GIGANTE D’ARGILLA Il dramma tre settimane dopo lo scoppio della guerra

Il 12 giugno di 90 anni fa il Forte Verena, fiore all’occhiello della linea fortificata italiana sull’altopiano di Asiago, veniva pesantemente colpito dalle artiglierie austriache: un solo proiettile di grosso calibro fece 45 morti e decine di feriti tra i soldati del 9° Reggimento artiglieria da fortezza che lo presidiavano. Non sarebbe stato l’unico colpo andato a segno: nei giorni seguenti la fortificazione fu martellata e più volte colpita dagli obici nemici. In breve tempo il forte, temutissimo dagli austriaci, fu ridotto all’impotenza. Fritz Weber, in Tappe della disfatta, così si espresse: «Verena, quella dannata bestia non è più che un ammasso di rovine. Sugli spalti nessuna sentinella camminerà più».

Il dramma di Forte Verena prese il via proprio con la tragedia del 12 giugno, ad appena tre settimane dallo scoppio della guerra. Alcuni giorni prima gli austriaci avevano portato nelle vicinanze del confine un obice da 305 mm: alle 14,40 il Verena fu colpito da un proiettile che entrò nell’opera sotto la terza cupola, esplodendo e facendo crollare la volta del deposito dei proiettili, dove si era ammassato un gran numero di militari. Rimasero uccisi tre ufficiali – il comandante del forte Carlo Trucchetti e i sottotenenti Pietro Pace e Mario Colletti – e 42 soldati.

I caduti erano quasi tutti vicentini, visto che costituivano la maggior parte del contingente in servizio al Verena. Tra essi c’erano i breganzesi Dario Uderzo e Luigi Nicoli, i recoaresi Antonio Guzzonato e Amedeo Maltese e il primo caduto thienese della Grande Guerra, Michele Vendramini. E poi Gino Sbalchiero di Montegaldella, Nicola Fabris di Roana, Camillo Baldisserotto di Montebello, Antonio Baldini di Grumolo, Angelo Basso di Caldogno, Bortolo Battistini di Valdagno, Antonio Benetti di Arzignano, Antonio Bertinazzo di Pozzoleone, Amedeo Betto di Vicenza, Agostino Brotto di Romano d’Ezzelino, Francesco Caron di Nove, Giuseppe Carta di Monticello Conte Otto, Beniamino Chiappin di Santorso, Umberto Fantoni di Villaga, Emilio Fochesato di Quinto, Pietro Graziani di Sarcedo, Giuseppe Gualtiero di Marano ed Enrico Valente di Bolzano Vicentino.

Rimase solamente ferito ad un braccio, invece, Giovanni Rizzolo, nato a Laverda di Lusiana nel 1893. Racconta il figlio Dionigi: «Come molti altri giovani della zona Pedemontana mio padre era andato a lavorare in Germania, quindi era rientrato per fare il servizio militare, svolto nella zona del Verena. Fece anche un corso sciatori a Gallio, e ci rimase mezzo congelato. Allo scoppio della guerra era ancora di leva al forte. Quel giorno si salvò perché era stato mandato a portare un messaggio e si trovava in un cunicolo secondario. Successivamente combatté in Cadore, a Caporetto, sul Piave e sul Montello come sergente maggiore telemetrista in una batteria: mi raccontava che a dieci anni dalla fine del conflitto si svegliava urlando dopo aver sognato distese di morti, uno sopra l’altro».

Più fortunato ancora fu il sergente Giovanni Sperotto, nativo di Fara Vicentina: fu uno dei pochi soldati non coinvolti nel disastro, perché circa mezz’ora prima del tragico evento il capitano Trucchetti gli ordinò di effettuare un’ispezione all’esterno dell’opera, anch’essa battuta dai grossi calibri avversari, per individuare da dove venisse il tiro. Sperotto, convinto di andare a morire, eseguì di malavoglia l’ordine prendendo con sé altri tre artiglieri. Dopo un quarto d’ora dall’uscita dal forte udirono alle loro spalle un enorme boato e videro che dalla cima del monte saliva in alto una densa colonna di fumo nero: capirono che il Verena era stato colpito. Tornarono indietro precipitosamente, trovando un inferno di corpi dilaniati.

Il 13 giugno il Verena venne nuovamente bombardato e danneggiato nei locali mensa e il giorno successivo incassò altre 15 granate da 305 mm, cadute sul cancello d’entrata, sulla parte posteriore dell’opera e sulla cucina della truppa. Il 15 giugno il maggiore Bonizzi ispezionò il forte, stilando un desolante rapporto sulle distruzioni subite. Ma non era ancora finita. Il 26 giugno altre granate provocarono la perforazione della seconda cupola, col pezzo messo fuori combattimento, e due fori nel corridoio di manovra. Il 4 luglio i colpi di grazia: fu forata l’avancorazza del secondo pezzo, una granata cadde tra la seconda e la terza cupola e scoppiò nelle macchine rendendole inservibili, infine anche l’infermeria venne completamente distrutta.

In quei giorni il campanaro di Rotzo, Vincenzo Slaviero, fu arrestato con l’accusa di disfattismo: aveva dichiarato pubblicamente che l’Austria-Ungheria avrebbe vinto la guerra. In realtà il sacrestano aveva diffuso una notizia destinata a rimanere segreta, cioè quella del disastro accaduto al Verena, tragedia che colpì profondamente l’opinione pubblica. Ma le responsabilità andavano cercate altrove. Qui in basso: L’artigliere Giovanni Rizzolo, sopravissuto al disastro, da solo e con gli altri componenti della terza cupola corazzata; le cupole corazzate in mano austriaca; la casamatta principale distrutta.

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